Nel suo blog ufficiale, YouTube ha dichiarato di aver rimosso oltre 100 mila video che incitavano all'odio e alla violenza, in linea con un recente aggiornamento apportato alla sua politica dei contenuti, che vieta il suprematismo e altre forme di odio
Tuttavia, non è per niente facile tracciare una linea di demarcazione netta tra ciò che è considerato un messaggio d'odio da bannare e ciò che invece rientra nel diritto di manifestazione del pensiero. E, infatti, sembra che YouTube stia procedendo un po' a casaccio in questa ripartizione.
Anche la Lega anti diffamazione degli Stati Unititi, in un recente report, ha contestato il metodo di selezione piuttosto scriteriato con con YouTube individua i video da rimuovere, facendo presente che sulla piattaforma permangono ancora molti canali che diffondono contenuti antisemiti e suprematisti.
Il CEO di YouTube Susan Wojcicki ha difeso l'operato dell'azienda, affermando che gestire una piattaforma aperta, che dia a tutti la possibilità di esprimere il proprio pensiero, talora significa anche accettare contenuti che si discostano dall'opinione corrente, risultando spesso controversi, se non addirittura offensivi.
In sostanza - continua la Wojcicki - la vasta gamma di prospettive che ci offre YouTube ci permette di essere una società più forte e informata, anche se talvolta non condividiamo certe opinioni.
il criterio di distinzione ideale (secondo la mia esperienza)
Qual che è certo è che non si può delegare completamente ai sistemi automatizzati il compito di individuare, ed eventualmente rimuovere, filmati con contenuti odiosi o violenti, perché le macchine non riescono a calarsi nel reale contesto dei video. E' quindi indispensabile l'intervento di una mente pensante, per operare una revisione sensata del materiale e per prendere decisioni coerenti.
Ma ovviamente non si può brancolare nel buio come sta facendo ora YouTube e bisogna individuare precisi criteri di distinzione per individuare una linea di demarcazione quanto più netta tra ciò che è considerato un semplice discorso d'odio, rientrante nel diritto di manifestazione del pensiero, e una condotta riconducibile a una fattispecie criminosa, come può essere ad esempio l'istigazione all'odio razziale.
Al termine di una lunga ricerca sui reati di opinione, condotta durante il mio Dottorato di Ricerca in Diritto Penale, giunsi alla conclusione che le manifestazioni di un pensiero critico, consistenti in condotte meramente comunicative, che offendono sentimenti o valori morali sovra-individuali, non possono essere oggetto di incriminazione e quindi devono essere tollerate. Diversamente, infatti, si assisterebbe ad uno stravolgimento dei più elementari principi del diritto penale. Cosa che accade puntualmente ogni volta in cui si perseguono penalmente le mere esternazioni di opinioni, siano esse di natura propagandistica, apologetica, vilipendiosa e così via.
Al contrario, invece, sarebbero da perseguire e quindi da mettere al bando tutte quelle manifestazioni del pensiero idonee a determinare la commissione di atti dannosi o concretamente pericolosi nei confronti di persone determinate o comunque determinabili in un certo ambito sociale e/o geografico.
In sostanza, la manifestazione di idee è ben diversa dall’istigazione a commettere azioni: quest’ultima, richiedendo un cominciamento d’azione, presuppone una condotta concreta ed effettivamente offensiva di un bene giuridico, mentre la prima si esaurisce nella mera manifestazione di un convincimento personale che, non solo non può essere penalmente perseguita, ma dovrebbe essere addirittura costituzionalmente tutelata.
Dopo tutto, la libertà è la miglior arma contro i nemici della libertà.