Nei giorni scorsi tutti, gli organi di informazione hanno riservato molto spazio ad una sentenza della Corte di Cassazione che darebbe il via libera, ai privati, ad installare impianti di videosorveglianza che riprendono la pubblica via. Ma è proprio così? Lette le motivazioni della Corte, la tesi della liberalizzazione è quantomeno semplicistica.
I media, tradizionali e non, hanno dato molto rilievo alla sentenza della Cassazione Penale n. 20527/2019. In un periodo storico in cui le esigenze di sicurezza sono molto forti e caratterizzano il dibattito nella nostra società, tutti hanno tratto da questa sentenza una mezza verità: il privato può installare un sistema di videosorveglianza, pressoché senza troppi oneri, anche se inquadra spazi pubblici. Questo è quanto emerge dalla lettura di articoli (alcuni esempi qui, qui e qui) e da quanto ascoltato in radio o visto in TV.
La sentenza
Due soggetti avevano installato sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito. In primo grado ed in appello, essi sono stati condannati per il delitto di violenza privata (art. 610 Codice Penale): i vicini avevano dovuto tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. Singoli episodi registrati erano stati riferiti agli interessati, cui i due imputati nel processo avevano contestato presunti illeciti (schiamazzi, parcheggio fuori dagli appositi spazi, deiezioni di animali abbandonate di fronte al cancello delle abitazioni ecc.); questi episodi, peraltro, erano stati anche segnalati (ed evidentemente documentati) alle autorità competenti.
Nell'accogliere il ricorso degli imputati (assolvendoli dalle accuse addebitate nei precedenti gradi di giudizio), la Corte di Cassazione non ha assolutamente liberalizzato l'attività di videoripresa di aree pubbliche da parte di privati. Anzi, i supremi giudici hanno ricordato che esiste un nucleo di norme che regolano la materia della protezione dei dati personali (che deve essere rispettato) e, segnatamente, i presupposti e le modalità di installazione di impianti di videosorveglianza. Nulla di innovativo insomma: sono principi che la Corte ripete, con costanza, da un ventennio.
Alla base del ragionamento c'è il bilanciamento tra la libertà individuale e di autodeterminazione e la sicurezza e tutela del patrimonio; entrambi, secondo la Corte, sono interessi tutelati dal nostro ordinamento. In certi casi, è però possibile comprimere la libertà altrui per finalità di sicurezza, a patto che si rimanga nei confini della legalità.
Rispettando queste prescrizioni di legge, la condotta del privato di riprendere aree pubbliche non costituisce certamente reato. Al di là della materia penale, questo argomento si scontra anche con il diritto alla riservatezza, in cui il potere sanzionatorio del Garante della Privacy, soprattutto dopo la piena vigenza del GDPR, è molto rilevante. Insomma, per evitare di commettere un reato basterà anche affiggere cartelli con cui si informano i terzi dell'operatività dell'impianto, ma ciò solo non è sufficiente per evitare altre sanzioni.
Come essere in regola?
Le principali regole operative sono contenute nel Provvedimento in materia di videosorveglianza - 8 aprile 2010 emanato dall'Autorità Garante per la protezione dei dati personali. Il vademecum è pienamente applicabile, pur essendo ormai datato, laddove non incompatibile con i principi disciplinati dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (in particolare, dal GDPR).
I principali (ma non gli unici) obblighi che ricaviamo sono:
- il dovere di informativa: chi installa un sistema di videosorveglianza deve informare tutti coloro che potrebbero ritentare nel campo di ripresa. Come? Con apposita cartellonistica, di cui è fornito anche un modello, e con cui si informano i terzi su chi sia il titolare del trattamento (cioè colui che ha installato l'impianto) e per quale finalità lo sta facendo (es. sicurezza, tutela del patrimonio);
- misure di sicurezza: devono essere messe in campo adeguate misure di sicurezza a protezione dei dati per prevenire perdite di dati, accessi di persone non autorizzate ai dati ecc. Le misure possono essere fisiche (nomina di soggetti che possono accedere, chiusura dei locali dove sono conservate le immagini, impianti anti intrusione ecc.) o informatiche (firewall, log eventi, accessi limitati, accesso con credenziali ecc.);
- periodo limitato di conservazione delle immagini: le immagini non possono essere conservate per più di 24 ore, salvo comprovate esigenze (es. furto per cui conservo le immagini da dare all'autorità giudiziaria).
Ai sensi dell'art. 35 GDPR il titolare del trattamento (chi ha installato l'impianto) deve effettuare valutazione d’impatto sulla protezione dati (c.d. DPIA, Data protection impact assessment). Tale documento, che sostituisce la verifica preliminare di cui al provvedimento del Garante del 2010, è una valutazione di rischi legati al trattamento dei dati rispetto ai fini per cui il trattamento è effettuato. Si tratta di una analisi strutturata e piuttosto complessa, obbligatoria perché la videosorveglianza è un monitoraggio sistematico su larga scala. La DPIA va effettuata nella fase di progettazione dell'impianto o, quantomeno, prima di metterlo in funzione.
Non serve il consenso dei terzi (anche perché una sua raccolta sarebbe davvero cervellotica nonché un non-sense), perché le riprese sono effettuate per un legittimo interesse di chi sorveglia gli spazi pubblici a tutela di un suo interesse. Questo punto è anche ripreso dalla Corte di Cassazione nella sentenza citata, che si ispira alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Il legittimo interesse, però, va verificato caso per caso: non è sempre detto che, per esempio, alcune deiezioni canine depositate di fronte a casa nostra possano giustificare un impianto di videosorveglianza, dipende dal contesto concreto. Non è semplice stabilire a priori se un interesse sia legittimo o meno; una delle poche certezze è costituita dagli istituti di credito: visto che una banca maneggia denaro contante (anche se sempre meno) e custodisce altri beni preziosi, è nel suo legittimo interesse tutelare il patrimonio proprio e dei clienti e la videosorveglianza è uno strumento importante a ciò dedicato.
Insomma, prima di mettere in funzione un impianto di videosorveglianza pare opportuno interpellare un esperto della materia che possa consigliarci al meglio per evitare futuri guai.