Dopo il boom di FaceApp, sono puntualmente arrivate le raccomandazioni di "esperti" che sconsigliano agli utenti di usare a cuor leggero questa app, in quanto potenzialmente lesiva della privacy e non rispettosa della policy sul trattamento dei dati sensibili. Ma a guardarci bene, il panico è ingiustificato e presenta alcune sfumature xenofobe.

FaceApp violazione privacy: panico ingiustificato condito xenofobia - Annotazione 2019-07-18 100829

Le prime a sollevare dubbi sulle modalità con cui FaceApp utilizza i dati degli utenti sono state le associazioni dei consumatori Altroconsumo e Codacons, intenzionate a presentare un esposto all'Autorità Garante della Privacy affinché avvii un'indagine sull'applicazione. In particolare, Codacons ha dichiarato che "questo apparentemente innocuo tormentone estivo rischia di nascondere un traffico potenzialmente pericoloso di dati sensibili", mentre Altroconsumo ha twittato che "sul trattamento dati e sulle immagini archiviate la trasparenza latita".

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Tutto ciò potrebbe essere vero e, se effettivamente lo fosse, non sarebbe neppure così eccezionale, visto quanto già successo con Facebook. Tuttavia, vale la pena considerare se sia giustificato il panico che sta serpeggiando tra gli utenti, i quali nei giorni scorsi hanno caricato ingenuamente le proprie foto sull'app. Come di solito accade in questi casi, infatti, il problema va contestualizzato.

Non è certo la prima volta che si crea un polverone spropositato attorno a vicende simili. A inizio anno, ad esempio, la reporter di Wired Kate O'Neill aveva preso di mira la "10-Year Challenge" di Facebook, insinuando che poteva essere utilizzata come una preziosa riserva di dati per elaborare un algoritmo di riconoscimento facciale sulla progressione dell'età: teoria poi sfatata da altri giornalisti che sottolinearono come Facebook avesse già tonnellate di foto dei suoi utenti, con data e ora, cui poter attingere in autonomia, senza l'aiuto degli utenti stessi.

Peraltro, senza voler sminuire la gravità dei comportamenti lesivi della privacy tenuti da Facebook e da altre aziende, i dati sensibili degli utenti vengono utilizzati per scopi meramente commerciali e pubblicitari, non certo per commettere furti d'identità o per perpetrare truffe ai danni degli utilizzatori.

FaceApp esiste dal 2017 e da sempre invia le foto degli utenti a un server remoto. Peraltro, non è la sola applicazione a farlo. Di conseguenza, non si comprende perché questa circostanza sia diventata problematica solo adesso.

Inoltre, il fatto che questo server remoto sia a San Pietroburgo, dove ha sede l'azienda russa Wireless Lab OOO proprietaria di FaceApp, ha fatto perdere la testa a tutto il web. Su Twitter è stato tutto un cinguettare, come se FaceApp, per il solo fatto di essere russa, fosse anche pericolosa o nascondesse chissà quali insidie. Il tweet del collaboratore del New York Magazine Yashar Ali, che con fare sornione metteva in guardia il popolo del web sulla circostanza che FaceApp fosse un'azienda russa, è stato retwettato più di 6 mila volte. Cinguettii analoghi si sono susseguiti senza sosta per tutta la giornata.

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Infine, facendoci catapultare in un'epoca da Guerra Fredda, il capo della sicurezza del Comitato Nazionale Democratico ha gettato benzina sul fuoco, intimando ai candidati alla presidenza di non usare FaceApp e di eliminare immediatamente l'applicazione dai loro smartphone.

E' innegabile come il panico ingiustificato creato attorno a questa faccenda sia condito anche da una buona dose di razzismo e xenofobia. In sostanza, ciò non significa che non ci si debba preoccupare di come FaceApp usi i dati degli utenti, ma sarebbe il caso di preoccuparsi allo stesso modo ogni volta che si utilizza una qualunque applicazione, a prescindere dalla nazionalità del suo produttore.