Dopo la perdita di 850 milioni di dollari da parte di Bitfinex e il ricorso ai fondi di Tether per coprire il disavanzo, era giunta la candida ammissione di Tether di non possedere le riserve di dollari sufficienti per far fronte alla copertura di ogni singolo USDT in circolazione. Ora la saga si arricchisce di un altro desolante capitolo: è di ieri la notizia secondo cui Tether avrebbe utilizzato parte delle sue riserve per fare investimenti in Bitcoin e altri asset criptovalutari, ovvero quelli "ad alta volatilità" per eccellenza.
Già il 25 febbraio scorso, la società aveva provveduto a modificare quanto formulato sulla propria homepage, ammettendo per la prima volta che le sue riserve includevano "valuta tradizionale e disponibilità liquide equivalenti", nonché "altre attività e crediti derivanti da prestiti concessi da Tether a terzi". Prima di allora, però, l'azienda aveva sempre sostenuto fermamente che ogni USDT era agganciato alla parità uno-a-uno con il dollaro e che, quindi, solo la valuta tradizionale era detenuta nelle loro riserve.
Dopo l'ammissione da parte della società di aver acquistato anche Bitcoin, il giudice della Corte Suprema di New York, Joel M. Cohen, ha evidenziato immediatamente il paradosso di uno stablecoin che investiva in un asset volatile come il Bitcoin.
In seguito all'udienza del 16 maggio, la Corte ha emesso un'ingiunzione che ordina a Tether e Bitfinex di ridurre l'accesso alle linee di credito sulle riserve in dollari detenute da Tether. Inoltre, è fatto divieto ai dirigenti e agli agenti di Bitfinex di ricevere i dividendi distribuiti dai fondi di Tether.
Bitfinex sostiene che dopo l'ingiunzione avrebbe raccolto con successo quasi 1 miliardo di dollari con una vendita privata dei suoi token LEO. L'emissione era pianificata per coprire gli 850 milioni di dollari attualmente congelati in diversi conti controllati dalla società di elaborazione dei pagamenti Crypto Capital, che è al centro della causa.
Sarà questa l'ultima puntata della saga o ci sarà un seguito?