Sull'onda della bufera mediatica che sta infuriando sulla pagina Facebook "I Pinguini Estensi", la risposta locale alle "Sardine" di Ferrara, torna un interrogativo sempre attuale per chi frequenta le piazze virtuali dei social network: quali sono le reali responsabilità in capo agli amministratori di un gruppo Facebook, WhatsApp o simili?

Facebook post diffamatori: amministratori gruppi sono responsabili? caso Pinguini Estensi - 79376613_1229020533974267_1206468098836660224_o-420x293

Quella che inizialmente doveva essere una manifestazione di protesta ironica e scherzosa contro le sardine ferraresi, negli ultimi giorni ha assunto contorni riprovevoli. Sulla pagina Facebook "I Pinguini Estensi" sono infatti apparse battute contro gli ebrei, lanciafiamme contro i migranti e offese piuttosto pepate contro alcuni noti personaggi di sinistra. E la gogna mediatica è ricaduta immediatamente sui nove amministratori del gruppo, che ora si trovano accusati di concorso in diffamazione, istigazione a delinquere, apologia di reato e addirittura associazione per delinquere.

Tralasciando le ipotesi di istigazione e associazione a delinquere che in questa specifica ipotesi appaiono chiaramente esorbitanti, ciò che solitamente si contesta agli amministratori di gruppi Facebook è di non aver adeguatamente vigilato sui comportamenti degli iscritti. Gli si imputa, quindi, una condotta omissiva dovuta a negligenza o imperizia: l'amministratore non ha controllato i commenti perché non sapeva fare (imperizia) oppure perché ha preso sottogamba questo compito (negligenza).

E' infatti dovere dell'amministratore leggere attentamente i commenti dei membri del gruppo prima di pubblicarli. Peraltro, esiste una funzione di controllo preventivo a ciò deputata, che confina i post in una sorta di limbo. Saranno poi gli amministratori, dopo un'accurata lettura dei post, a filtrarli, decidendo cosa può essere pubblicato e cosa invece deve essere scartato perché offensivo o, più semplicemente, non adeguato al tenore della pagina.

Gli amministratori erano in grado di controllare i post?

Ma a questo punto bisogna porsi una domanda: gli amministratori, nel caso di specie, erano effettivamente in grado di controllare i post degli utenti prima che venissero pubblicati? Talvolta, controllare i commenti è più facile a dirsi che a farsi, soprattutto quando le pagine nascono in fretta e in pochi giorni ci si ritrova con più di 5 mila iscritti, ognuno dei quali non vede l'ora di dire la sua. E i post fioccano senza sosta, in un botta e risposta infinito.

Gli stessi amministratori, talora con scarse competenze informatiche, si trovano in un vortice più grande di loro, che diventa a tratti incontrollabile e difficile da gestire: molti di questi non sanno neppure che esiste la possibilità di predisporre un sistema di filtraggio dei post e, ingenuamente, pensano di poter controllare i commenti in modo generico, quando ne hanno il tempo, lasciandosi così sfuggire le frasi più compromettenti.

A tal proposito, fa giurisprudenza la sentenza n.22 del 24 febbraio 2016, pronunciata dal Tribunale di Vallo della Lucania, ufficio GIP, per cui:

Nel caso di pubblicazione di messaggi diffamatori sulla bacheca di un gruppo costituito presso il noto social network “Facebook”, va esclusa la responsabilità a livello concorsuale degli amministratori del gruppo qualora gli stessi non siano in grado di operare un controllo preventivo sulle affermazioni che gli utenti immettono in rete.

Gli amministratori hanno agito con la volontà di offendere?

La sentenza poi prosegue, soffermandosi sull'elemento soggettivo del reato di diffamazione, che presuppone necessariamente il dolo, ossia la volontà di offendere o screditare la reputazione di una persona: in particolare - sostiene il giudice - la circostanza che un amministratore approvi la pubblicazione di un post non significa necessariamente che egli condivida quanto scritto in quelle righe. In altre parole, le offese degli utenti non possono darsi per condivise dall'amministratore solo in quanto da questi approvate.

Affinché sussista la volontà del moderatore di offendere o screditare qualcuno, infatti, è necessario che egli abbia volontariamente omesso di cancellare, anche a posteriori, le frasi diffamatorie. Ove, invece, egli si sia prontamente attivato per eliminare quei post o abbia scritto a sua volta un post per dissociarsi da quei commenti offensivi, prendendone le distanze, allora la sua condotta non può assumere connotati illeciti.

conclusioni

Ferma restando la responsabilità in capo agli autori delle frasi diffamatorie apparse sulla pagina Facebook incriminata, aderendo alla sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania sopra citata, a nostro avviso non sembra profilarsi alcuna responsabilità penale nei confronti degli amministratori del gruppo.

Gli amministratori, infatti, pur avendo omesso un'adeguata attività di controllo preventivo sulle affermazioni immesse in rete dagli utenti, hanno preso pubblicamente le distanze dai post offensivi scritti da certi membri del gruppo e non hanno mai agito con la coscienza e la volontà di offendere o screditare la reputazione di taluno. Per ciò solo, venendo meno il dolo che è elemento costitutivo del reato di diffamazione, la fattispecie criminosa non può dirsi sussistente.