Portato alla ribalta da un servizio di un noto programma televisivo andato in onda nei giorni scorsi, il fenomeno "Blue Whale" sta spaventando molti internauti, soprattutto se genitori. Le informazioni, tuttavia, sono piuttosto confuse e frammentarie: cerchiamo di venirne a capo insieme e di capire quanto c'è di vero in tutto ciò, ripercorrendo il percorso di questo presunto fenomeno ed approfondendone alcuni aspetti.

Blue Whale "suicidio sociale": quanto c'è vero questo fenomeno?

Piccola premessa: questo è uno di quegli articoli che tratta un problema scaturito da Internet e che ha serie ripercussioni sulla vita reale. La tecnologia ed il progresso sono cose belle ma bisogna sempre sapervi approcciare correttamente. Ricordate sempre, e non dimenticatelo, che Internet è uno strumento tanto potente quanto sconfinato e che, come recita un celebre spot pubblicitario, "La potenza non è niente senza il controllo"... anzi: può fare danni irreparabili.

Cos'è Blue Whale?

Blue Whale, che fa immediatamente pensare alla "balenottera azzurra", è un fenomeno sociale che presumibilmente ha preso piede in Russia già nel lontano 2013. Nasce sul social network VKontakte (o VK, una specie di Facebook russo) e consiste in un gioco di adescamenti, ricatti e prove che sfociano con il suicidio finale della malcapitata vittima, il tutto rigorosamente filmato e documentato.

Per partecipare al gioco, che dura 50 giorni, la vittima deve ricevere l'invito di un "curatore" (il nostro adescatore): durante questi 50 giorni l'adescatore obbligherà il malcapitato ad eseguire dei compiti che spaziano dall'autolesionismo alla violenza psicologica, passando per la modifica del ritmo sonno-veglia; per esempio, il curatore chiederà alla vittima di alzarsi alle 4 del mattino e di guardare dei video cruenti, di ascoltare della musica psichedelica, di tagliarsi la pelle con una lametta, incidersi dei simboli su diverse parti del corpo e così via. Il tutto dovrà essere fotografato, filmato ed inviato al "curatore".

Terminate le prove ed i 50 giorni del gioco, alla vittima verrà chiesto di superare la prova finale: quella di salire sul palazzo più alto della città e saltare nel vuoto, di fatto suicidandosi. La particolarità di questa macabra moda, che avrebbe portato ad oltre 150 suicidi di adolescenti, è che una volta nel gioco non è più possibile uscirne: il curatore, al rifiuto della vittima, minaccia ripercussioni (anche gravi) sulla famiglia di questi.

La storia di Blue Whale

Nonostante i media ci facciano pensare ad un fenomeno recente, stando a quanto si legge in rete (e parlo di posti molto brutti della rete) questo fenomeno ha preso piede nel 2013: come spiegavo poc'anzi, il tutto è nato sul social network VK; i "curatori" facevano parte di un gruppo che si faceva chiamare F57, agivano nell'anonimato e pare avessero anche sviluppato un'app per accompagnare le vittime nel loro tragico percorso. Di quest'app, però, al momento non c'è traccia.

Il tutto sarebbe stato messo a punto dalla mente di Philipp Budeikin, ex studente di psicologia, prima espulso dall'università e poi arrestato e detenuto dallo scorso ottobre nel carcere di San Pietroburgo con l'accusa di istigazione al suicidio su almeno 16 ragazze adolescenti. Budeikin avrebbe attratto adolescenti e pre-adolescenti sul suo gruppo VK con dei particolari video, poi avrebbe chiesto loro di dimostrare quanto fossero "fighi" postando video in cui mostravano atti di autolesionismo o, peggio ancora, di violenza (come l'uccisione di un animale).

Stando alle ricostruzioni, la maggior parte delle potenziali vittime si sarebbe tirata indietro a questo punto senza nessuna ripercussione. Chi invece ha soddisfatto le richieste dell'amministratore, dimostrando di essere soggiogato ed ormai in balia della sua volontà, è stato selezionato per partecipare al Blue Whale. Partecipazione che, una volta accettata, non poteva più essere annullata e doveva terminare col suicidio, pena pesanti (e presunte) ripercussioni su familiari ed affetti.

Ad avvalorare il tutto, rimasto fino a qualche giorno fa una via di mezzo tra una leggenda metropolitana ed un'agghiacciante realtà, sono le recenti dichiarazioni di Budeikin, che ha ammesso le sue responsabilità giustificandole con una tesi che fa venire i brividi:

"Esistono persone e scarti biologici. Quelli che non hanno nessun valore per la società. Quelli che causano o causeranno soltanto dolore alla società. Stavo ripulendo la società da questi individui. [...] Si, l'ho fatto davvero [istigare al suicidio le ragazze, NdR]. Non preoccupatevi, capirete tutto. Tutti capiranno. Erano felici di farlo. Avevo dato loro ciò che non avevano avuto durante le loro vite reali: calore, comprensione, importanza. [...]

Quindi si, il fenomeno Blue Whale - almeno in Russia - è esistito ed esiste davvero. Si pensa che Budeikin, durante i quasi tre anni di attività indisturbata, abbia fatto proseliti e che oggi siano presenti curatori che hanno già preso il suo posto.

Le vittime di Blue Whale

Ormai è chiaro: Blue Whale è un macabro gioco sociale a cui può partecipare chiunque dotato di uno smartphone con fotocamera e di un collegamento a Internet. Ricollegandoci però alle dichiarazioni di Budeikin, è chiaro che le future vittime suicide siano per lo più adolescenti, con problemi (anche seri) nella vita reale. E non è un caso: tutti siamo stati adolescenti e tutti sappiamo che si tratta di un'età cruciale ed allo stesso tempo delicatissima, in cui gettiamo le basi del nostro carattere e degli ideali, delle abitudini e delle attitudini che porteremo con noi durante la nostra vita.

La maggior parte degli adolescenti è estremamente fragile, condizionabile da quanto accade all'esterno e facilmente assoggettabile alle mode del momento, soprattutto quelle sociali, che possano far parlare la gente. Il limite tra questa piccola (ed innocua) mania di protagonismo e la follia di seguire un gioco suicida può essere davvero sottile, soprattutto se oltre ai problemi adolescenziali di ognuno di noi si associa un background familiare e sociale alquanto precario. Insomma, le vittime preferite di Blue Whale sono i cosiddetti adolescenti "disagiati", quelli più influenzabili e fragili, quelli messi faccia a faccia - forse troppo presto - con veri e propri problemi più grandi di loro.

Blue whale e Suicidio sociale: quanto c'è di vero?

Come vi ho accennato poc'anzi, prima delle recenti dichiarazioni di Budeikin il "Blue Whale" era una via di mezzo tra una leggenda metropolitana ed un'agghiacciante realtà; dopo tali dichiarazioni, il tutto ha preso una connotazione molto più concreta. In altre parole: Blue Whale esiste davvero.

Va però detto che, complice la poca praticità con i fenomeni sociali dei media ed il susseguirsi di notizie tutt'altro che chiare, di fesserie su questo fenomeno ne stanno girando davvero molte. C'è chi dice che sia arrivato in Gran Bretagna, chi dice che abbia causato il suicidio di persone italiane, chi parla di un'app che si diffonde tramite Telegram, chi parla addirittura di "sette sataniche"... e potremmo star qui fino a domattina a parlare delle voci di corridoio dei giorni nostri.

Sicuramente la presenza incontrollata di bambini e adolescenti su Internet e sui social network è e deve essere un campanello d'allarme: la rete è un mezzo estremamente potente e, in quanto tale, chi la usa dovrebbe essere in grado di controllarne i suoi effetti nella vita reale. Il problema del suicidio sociale esiste davvero, purtroppo Blue Whale ne è soltanto una rappresentazione: dovremmo tutti fare attenzione se notiamo che un nostro conoscente, specie se di giovane età, inizia ad avere comportamenti strani (un insolito silenzio, uscite improvvise, fenomeni di autolesionismo o altro). A prescindere da Blue Whale, è necessario e provvidenziale offrire aiuto prima che sia troppo tardi.

In posti molto ma molto remoti della rete, quelle che confidenzialmente conosciamo come dark net, ci sono veri e propri forum di istigazione al suicidio, con tanto di istruzioni su come fare, su dove procurarsi l'occorrente e sul perché porre fine alla propria vita. Vere e proprie comunità che, oltre ad aiutare chi desidera porre fine alla propria esistenza, incitano a farlo.

Aggiungiamo a questi ingredienti quella sana mania di protagonismo tipica degli adolescenti (ma non assente negli adulti) e il desiderio di avere quel momento di gloria mai avuto, di attirare l'attenzione su di sé e di liberarsi di qualcosa di troppo pesante, ed il suicidio sociale è servito.

Morale della favola: Blue Whale fa notizia, ma Internet ed alcune manie pericolose vanno purtroppo a braccetto, sfuggono al nostro controllo e sono dei problemi molto più grandi di quanto possono sembrare. Ciò che una donna come me, cresciuta a pane e tecnologia, può consigliare agli altri (soprattutto ai genitori) è quella di educare i propri figli o i nativi digitali in generale ad un corretto e consapevole utilizzo della rete, insegnandogli innanzitutto la differenza tra la vita virtuale e quella reale.

Non sarà sicuramente la soluzione definitiva, certo, ma è un buon inizio.