La Polizia Postale e delle Comunicazioni riporta i dettagli di un’indagine svolta nell'ambito del contrasto al cyberterrorismo, che ha consentito alle forze dell'ordine di individuare un cittadino tunisino colpevole di propagandare il terrorismo islamico su diversi social network, mediante messaggi e foto di profilo inneggianti l'odio e la guerra religiosa

Cyberterrorismo islamico WhatsApp Facebook: fermato tunisino - 86363165_1438657312962612_5123187778380627968_n

A destare il sospetto degli investigatori è stato innanzitutto un profilo WhatsApp inserito in un gruppo denominato “Gli estranei”. Il gruppo, il cui logo mostrava un’immagine rappresentativa dello Stato islamico, aveva come scopo anche lo scambio di messaggi propagandistici. L’utilizzatore di questo profilo veniva successivamente localizzato anche all'interno di altri due gruppi WhatsApp: “I canti dello stato islamico” e “L’esercito del califfato”.

L’utente, nel tempo, modificava l’immagine del proprio profilo, esibendo una fotografia raffigurante tre fucili mitragliatori automatici (vedi foto in alto, tratta dalla pagina Facebook del Commissariato di PS online). Successivamente, la Polizia Postale verificava che l’account in questione apparteneva ad un’utenza mobile italiana, utilizzata da un 24enne operaio edile, di origini tunisine, regolarmente soggiornante nel territorio nazionale e localizzato nella provincia di Parma.

Durante le indagini, venivano acquisiti ulteriori elementi valutativi sulla personalità dell’uomo. In particolare, le forze dell'ordine individuavano altri due profili Facebook ricollegabili all'indagato, da cui si rilevava una spiccata inclinazione alla cultura dello Stato islamico e alla lotta armata, nonché apprezzamenti e iscrizioni a pagine ad esse dedicate.

L’acuirsi della pericolosità delle condotte del soggetto, rilevata dal costante monitoraggio dei profili social in uso, consentiva alla Procura della Repubblica di Bologna di emettere un decreto di perquisizione personale, locale e informatica nei confronti del tunisino. Durante queste investigazioni, gli operatori di Polizia si soffermavano in particolare sullo smartphone dell'uomo, contenente migliaia di immagini e filmati più che compromettenti: scene di guerra nei territori medio orientali, esecuzioni capitali, 40 video esplicativi delle varie tecniche operative utilizzate da gruppi jihadisti, nonché istruzioni e tutorial su come confezionare ordigni artigianali mediante l’uso di materiale di facile e quotidiana reperibilità.

A tale quadro indiziario, che confermava una forte radicalizzazione del tunisino in termini di adesione ed esaltazione dei principi jiadisti, si sono poi aggiunti altri importanti elementi da cui è emerso l’inserimento dell’indagato in una cerchia relazionale internazionale di soggetti appartenenti ad ambienti riconducibili al terrorismo di matrice islamica. L'indagato aveva infatti una fitta rete di relazioni su Telegram e WhatsApp, oltre che plurimi contatti telefonici con utenze straniere riferibili a nazioni estere tra cui Tunisia, Algeria, Filippine e Yemen.

Alla luce di detti elementi, la scorsa settimana il GIP del Tribunale di Parma ha convalidato il fermo del tunisino, applicando nei confronti dell’indagato la custodia cautelare in carcere, in considerazione del fatto che sussistono a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 270 quinquies c.p. Nello specifico, il soggetto ha realizzato comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle attività di terrorismo di cui all’art. 270 sexies c.p.: la sua condotta, tesa ad auto-addestrarsi per realizzare un programma terroristico proposto dalle molteplici strutture jihadiste affiliate all’ISIS, è risultata infatti inequivocabile e concretamente pericolosa.